Saturday, February 28, 2015

Scannerizzati

Il mio status di immigrante ancora non è totalmente stabile.
Stiamo lavorando al secondo ed ultimo step e dopo di questo direi che posso anzi devo optare per la cittadinanza. Mi sembra giusto per il rispetto che devo ad un paese che comunque mi ha accolta e che mi ha dato la possibilità di iniziare la nostra vita. Inoltre sarebbe la scelta più intelligente così da non dover combattere con l'immigrazione ogni 10 anni.
Prepararsi al secondo step vuol dire dimostrare che il nostro legame è vero e sincero. Fatto cioè di amore puro.
Quindi giovedì ho passato più di tre ore a "scannerizzare" parole. Parole scritte su biglietti che ci siamo scambiati in questi quasi due anni, parole intime, nostre piene di significati e sguardi al futuro e che pensi rimangano sempre e solo tra noi due. Ma anche parole di malinconia, affetto, speranza che ci arrivano da oltreoceano.
Dobbiamo dimostrare che ognuno è legato alla famiglia dell'altro, che queste parole arrivano indirizzate a tutti e due.
Mi dispiace pensare che le lettere della mia mamma , dei miei nonni e dei miei zii passino dalle mani di sconosciuti, oppure che all'inglese incerto che mia sorella usa per esprimere gratitudine a mio marito non venga dato il giusto significato.
Ci siamo già messi a nudo negli anni passati per dimostrare che volevamo semplicemente il diritto a stare insieme ed ora ci risiamo.
Non abbiamo nulla da nascondere quindi è facile ma ci sono momenti in cui scambi con le persone pensieri unici, sottili, delicati, tuoi e solo tuoi sperando che un abbraccio li contenga, li custodisca e non li lasci sfiorare da nessuno.
Rileggere certe parole sullo schermo del computer dopo averle passate dallo scanner mi fa sentire come se avessi reso quelle pagine asettiche, prive dei loro infiniti significati.
Mi dispiace, non vedo l'ora che anche questa sia fatta e aspetto nuove lettere e pensieri da chi ho lasciato lontano da me. Quelle parole li non finiranno dentro uno scanner ma saranno per sempre custodite e rispettate.
Se poi non dovesse bastare mi calo le brache, mi siedo sullo scanner e mostro loro l'unica cosa che ancora non mi hanno chiesto.

A.

Sunday, February 8, 2015

Anna, Made in Italy

Uno dei bisogni che ho avuto da quando sono qui è stato trovare una sarta.
Intendo una "sartina" brava, affidabile, con le mani d'oro come quelle della mia mamma e della mia nonna che mi hanno sempre salvata quando c'era da togliere metri di tessuto a pantaloni sempre troppo lunghi per me.
Così ho conosciuto Anna, mamma di un nostro amico. Sarta da sempre è più che altro italiana. Italiana vera, Made in Italy nel vero senso del termine.
Anna, piccola donna che porta il più bello dei nomi femminili, si è sposata bambina con Michele. Lui è venuto qui in avanscoperta, per usare le sue parole: "Ho fatto come Colombo, sono venuto prima io a vedere cosa c'era qua!".
Le cose sono andate bene e lei ad un certo punto ha dovuto raggiungerlo.
Quando mi ha raccontato come il suo trasferimento è andato mi sono sentita in colpa. Mi sono chiesta cosa ho io da lamentarmi. Diciamocelo chiaro e tondo: sono arrivata qui con tre valigie e niente da costruire, praticamente perché era già tutto pronto. Certo, sto costruendo la nostra piccola famiglia e la mia nuova vita sociale ma niente di più.
Anna viveva in un piccolo paese del Molise, 19 anni quando è partita e aveva tra le braccia il suo piccolino di due anni, febbricitante e forse spaventato dalla paura che lei stessa provava.
Anna non era mai uscita dal paese, quindi è stata "messa su un aeroplano" diretto a New York.
Il suo primo volo, lunghissimo, infinito verso un paese sconosciuto, senza parlare una parola di inglese con il suo bambino in braccio che ha pianto durante tutta la traversata.
Arrivata in aeroporto si è guardata intorno spaventata. Ma è riuscita a passare i controlli doganali, ha vagato un po' cercando di capire come fare per arrivare al secondo gate di imbarco.
Una coppia ha visto questa piccola donna completamente persa e confusa e le ha offerto aiuto e solo mostrando loro il biglietto hanno capito il suo bisogno. L'hanno accompagnata così al l'imbarco per Boston.
Vola a Boston dove il marito la aspetta e con lui la loro padrona di casa. Usciti dall'aeroporto si sono  diretti in ospedale perché il bambino continuava a stare male.
Ecco, questo è stato l'inizio. Non il migliore. Per non parlare del fatto che per i seguenti 7 anni non ha visto la famiglia. Mi ha detto così: "Adele, i pianti che non mi sono fatta in sette anni...".
Questo paese è fatto di tanti Anna e Michele che meritano un rispetto infinito.
Dovrei smettere di lamentarmi, lasciare da parte la malinconia quando sento la mancanza della mia famiglia. Dopo tutto abbiamo tanta tecnologia che ogni giorno ci tiene vicini.
Mi rimbomba però nella testa una cruda verità che Anna mi ha detto e che un po mi spaventa: "Purtroppo non smetterai mai di sentire la mancanza di casa". 

Wednesday, February 4, 2015

Patriots

Ho capito oggi che l'efficienza americana è davvero debole.
Lo hanno dimostrato oggi i bostoniani e gente di tutto il New England che alle 11 del mattino si sono ritrovati a Boston per festeggiare la loro squadra di football i Patriots, vincitori del Super Bowl.
Tutti pensano che gli americani siano grandi lavoratori , non prendono giorni di malattia, non assistono a volte alle recite o spettacoli di vario tipo dei figli, sacrificano la propria vita personale pur di non saltare un giorno di lavoro. Ma poi quando si tratta di festeggiare la squadra di football non guardano in faccia al boss e corrono in strada per assistere alla sfilata . La squadra ha sfilato per il centro della città sulle famose Duck Boats!
Non li capirò mai questi americani!


http://www.boston.com/sports/football/patriots/2015/02/04/the-view-from-above-pics-from-atop-the-duck-boats/8pI1xqU32XtMEXHdX2w9nJ/story.html?p1=feature_pri_hp